Il 3 maggio 1953 la posa della prima pietra benedetta dal vescovo Piasentini segnò la ripresa dei lavori per la costruzione del Duomo di San Mauro. Erano stati sospesi appena completate le fondamenta, ancor prima dell'alluvione del 1951, e ritardati in seguito sia per la difficoltà di reperire i fondi necessari, sia per i maneggi di chi avrebbe voluto ridimensionare il progetto originale. Ma ora c'era la convinzione che la grande fabbrica poteva finalmente giungere a compimento senza ulteriori ritardi. Il portale del nuovo Duomo si sarebbe dunque aperto fra breve non più, come un tempo, sull'angusto spazio chiuso dal muraglione, ma su una vera piazza segnata per il momento soltanto sulla carta, essendone il terreno occupato dai resti dell'edificio con il bar Casellato e il negozio di ferramenta Vascellari. Quale posto migliore per accogliere degnamente un ricordo, che ancora mancava, dei caduti dell'ultima guerra? Così pensava l'Associazione Mutilati e Invalidi per la cui iniziativa si formò un Comitato che in via di massima propose di erigere un monumento al limite tra la futura piazza e via Pescheria. Su un artistico basamento, disegnato dal vincitore di un concorso da bandire fra gli artisti italiani, si sarebbe posta una copia della Madonnina mutilata del Grappa in memoria di tutti i caduti, anche di quelli della prima guerra mondiale. Per la fusione della statua si proponeva perciò di usare il bronzo della lapide del 1915-18, che mancante di alcune lastre si trovava ancora nelle condizioni in cui l'avevano lasciata i bombardamenti del 1945. Qualche resto della lapide si suggeriva di murarlo nell'atrio della vicina scuola elementare, mentre alcuni elementi decorativi si potevano fissare al basamento della statua. La Madonnina, storico “simbolo di sacrificio e di riscossa”, veniva scelta per rammentare il recente passato di lutti e distruzione e il presente di laboriosa rinascita. Questa la proposta del Comitato. Accolta con favore in paese, ebbe la promessa di un fattivo sostegno da parte del Prefetto, del sindaco di Venezia, della Provincia, di enti pubblici e personalità varie.
La lapide di bronzo. Novembre 1951 |
Dalla fine della guerra erano già passati otto anni. Molti di meno ne erano occorsi per onorare i caduti del 1915-18 con un ricordo marmoreo (inaugurato il 2 novembre 1920 e subito distrutto da un gruppo di esagitati anarchici) sostituito poi con la grande lapide bronzea. Collocata il 7 ottobre 1923 sul lato ovest del campanile, a testimonianza dell'enorme tributo di vite pagato da Cavarzere portava incisi i nomi di 378 soldati che avevano combattuto, contribuendo a vincerla, una guerra largamente accettata poiché concludeva le lotte risorgimentali per l'unificazione della Patria. Ma l'ultima guerra, voluta da un dittatore, aveva causato la quasi totale distruzione del centro abitato e la morte sotto le bombe di 74 persone. Quando poi si era trasformata in lotta civile e di Liberazione, s'erano aggiunte le vittime di rappresaglie e vendette. I 61 militari caduti erano dunque soltanto una parte di una più vasta tragedia.
Mentre si andava ricostruendo il paese, era forte l'impegno di rimarcare il passaggio dalla dittatura alla democrazia celebrando la Resistenza, tenendo viva la memoria di alcuni personaggi locali con l'intitolazione di una via, di un'associazione, o con la posa di una lapide, com'era avvenuto nel settimo anniversario del sacrificio del dottor Busonera, il 17 agosto 1951. Si avvicinava intanto il decennale delle prime incursioni aeree e Cavarzere, su iniziativa dell'Associazione Mutilati e Invalidi, venne iscritto all'Albo d'Oro dei Grandi Mutilati. Il 9 maggio 1954 vi fu perciò lo scoprimento di una lapide che insieme ai soldati della prima guerra ricordava i disastri del 1944-45. Quel giorno si inaugurarono le case per gli alluvionati di Grignella e Passetto, e il nuovo edificio della Scuola Media. Dopo uno spettacolo d'arte varia e una rivista musicale nel Teatro San Marco, la giornata si chiuse con un concerto della Banda Cittadina di Venezia. Il volantino col programma delle manifestazioni esprimeva fiducia nel futuro, un forte sentimento patriottico – oggi molto affievolito, se non spento – e conteneva un generico cenno ai Caduti.
(foto di Flavio de Montis) | (foto di Marco Moretto) |
Intanto, onorare quanti avevano perso la vita nell'ultimo conflitto, sia civili che militari (sotto qualsiasi bandiera avessero combattuto), era un desiderio che l'arciprete Scarpa nutriva fin dal 1947, quando aveva concordato nei dettagli la costruzione del Duomo insieme all'architetto Cirilli. Avevano stabilito di destinare due ambienti, esterni al tempio, a Battistero e a Sacrario dei Martiri. Due eleganti cappelle con la volta a crociera, poste ai lati dell'atrio, illuminate da un rosone abbellito con un rilievo simbolico: pavoni abbeverati ad una fonte per il Battistero, una spada sospesa su un intrico di vigorosa vegetazione per il Sacrario. Raccogliere in questa seconda cappella i resti di quei defunti (circa 140), dando loro più onorifica sepoltura – pensava l'arciprete – sarebbe stato un segno di pacificazione e avrebbe dato conforto ai superstiti. Di tale progetto si era sempre parlato apertamente, e mai erano state sollevate obiezioni. Ma appena mons. Scarpa all'inizio del 1957 si attivò per ottenere il consenso delle famiglie e le autorizzazioni del Comune gli giunse dalla Curia l'assoluto divieto di procedere nell'iniziativa. Il cosiddetto Sacrario dei Martiri doveva restare una semplice cappella dove celebrare le Messe di suffragio: niente loculi né lapidi, dunque, ma solo un altare. L'arciprete si oppose, contestando le osservazioni di carattere economico o tecnico che dapprima gli vennero fatte. Gli si spiegò infine la vera ragione che sconsigliava la creazione del Sacrario. C'era il timore, in futuro, di possibili disordini da parte dei superstiti militanti di opposti schieramenti politici. Sebbene non persuaso (visto che a favore del progetto si erano espressi, oltre alle famiglie e al Comune, anche i rappresentanti dei maggiori partiti da lui interpellati), l'arciprete dovette infine desistere e il vagheggiato Sacrario rimase una stanza vuota perennemente chiusa. Ma se un altare doveva esserci, che fosse allora per tutti i defunti, in Duomo e monumentale. Fu così che per incontrare il desiderio dell'arciprete la Banca Agricola Popolare con atto munifico fece ricomporre l'ottocentesco altare delle Anime con la statua del Sacro Cuore.
Rosone del Sacrario dei Martiri. |
Il Duomo venne inaugurato il 9 novembre 1958, mentre già si andava completando il selciato che lo affiancava, in attesa della primavera per iniziare i lavori della piazza ormai libera da ogni ingombro. Disegnata dell'architetto Meo, pavimentata in porfido con un intreccio di pietra d'Istria, avrebbe avuto al centro un mosaico policromo e, davanti alla gradinata, un tappeto di marmo formato dai quadri recuperati dal pavimento del 1832 nel tempio distrutto. Il Comitato ebbe finalmente l'occasione di ripresentare la sua proposta: erigere fra la piazza e il marciapiede, dalla parte del Battistero, la colonna con la Madonnina del Grappa usando “per ragioni storiche e sentimentali” alcuni resti inutilizzati del vecchio Duomo; alzare poi due pili portabandiera sui cui basamenti figurassero “simboli e visioni del martirio e delle sofferenze della città”. Proposte destinate a rimanere sulla carta, occorrendo tempo per definirne l'aspetto artistico ed ancor più per trovare i mezzi necessari a realizzarle. La piazza fu inaugurata nell'autunno del 1959 e col suo grande mosaico rammentava esclusivamente le distruzioni del 1945. Venne tuttavia intitolata ai Caduti della Libertà, fra i quali non si potevano includere i 61 soldati mandati a combattere in Albania, in Grecia, in Croazia, in Jugoslavia o in Russia non certo per difendere o conquistare la libertà. A loro pensò ancora una volta l'arciprete, che ne elencò i nomi, l'età e il luogo della morte nel suo libro pubblicato in quei giorni. Negli anni che seguirono, la lapide del 1915-18 fu restaurata e in seguito spostata in una posizione più adatta alle cerimonie, sul lato sud del campanile, maestosa come una pala d'altare. E finalmente, nel 1982, sul lato ovest della torre anche i caduti della seconda guerra ebbero, insieme alle vittime civili, l'onore di una lapide. Sotto la quale tuttavia, per quanto io ricordi, si celebrasse la ricorrenza del 25 aprile o del 4 novembre, non mi è mai capitato di vedere una corona d'alloro.
Carlo Baldi, 31 ottobre 2013
Lapide ai caduti e alle vittime dell'ultima guerra. |
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