Il primo a spiegare il significato del nome di Cavarzere sembra sia stato Andrea Navagero. Nella sua “Storia della Repubblica Veneziana” (1516) racconta che, in fuga verso la laguna per sfuggire alle orde di Attila, “altri popoli veneron ad habitar a uno luoco ditto Capo d'Arzere, et edificorno molte caxe e lo chiamorno Cavarzere per esser in capo a uno arzere”. Erano fatti accaduti più di mille anni prima, e lo storico si tenne nel vago senza precisare di quale arzere si trattasse.
Dopo il Navagero, senza più ricercare spiegazioni, il nome del paese continuò ad essere citato nelle sue molte varianti: dal Cavargere dei nostri ambasciatori presso il Doge appena eletto, al Cavargine di certi eruditi, al popolaresco e sempre vivo Cavarzare nei capitolari della confraternita del SS. Sacramento. Finché, nel 1777, ad opera di Vincenzo Formaleoni nacque la leggenda: “Cavarzere, anticamente Capo d'argine... così denominato perché ne' secoli antichi era situato sulla fine dell'argine che sosteneva l'Adige” (1). Il passo, riproposto dall'autore dieci anni dopo in un libro presentato come puntigliosa “descrizione dello Stato Veneto secondo le più autentiche relazioni”, prefigurava dunque da noi un Adige pensile e arginato già nell'alto medioevo, prima della nascita di Cavarzere. Venne ripreso nel 1789 da Cristoforo Tentori in un'opera importante e dal piglio didascalico: “Sopra l'Adige dentro terra si vede Capo d'Argine, Caput Argilis nelle antiche carte nominato, ora detto Cavarzere, poiché negli andati tempi era situato sopra l'argine che sosteneva il fiume Adige” (2).
Alle opere del Formaleoni e del Tentori, entrambe di larga diffusione, non mancarono in seguito di attingere gli studiosi, che aggiunsero via via qualche curioso particolare. Come il Rampoldi, il quale nel 1832 spiegava: “Capo d'argine... perché da quel luogo cominciavano gli argini con sommo dispendio eretti pel sostegno delle acque, sia dell'Adige che dei limitrofi canali” (3). Per cui, a dargli retta, si potrebbe intendere che nel VII secolo o addirittura in epoca precedente Venezia era impegnata in vaste opere di arginatura e bonifica. L'affermazione del Formaleoni venne infine ripresa con appena un'ombra di dubbio dal Bullo: “Vuolsi che il nome derivi da Caput Aggeris... e che tale denominazione le venisse dall'essere costrutto in capo all'argine dell'Adige, perocché in quel punto si pretende che anticamente finissero le arginature di quel fiume...” (4). Il libro del Bullo, ricca miniera di notizie, ha definitivamente consolidato la leggenda, ora dilagata anche su Internet, che fa discendere il nome del paese dall'argine del fiume.
Una giustificazione al Formaleoni si deve comunque concederla: quando pubblicava il suo trattato un argine a Cavarzere c'era già e ci si apprestava ad iniziare i lavori per alzarlo. Per poterlo fare, essendo necessario allargarne di qualche metro la base, sarebbero stati demoliti l'oratorio di Sant'Andrea e Santa Croce, la loggia comunale e porzioni di case private. Edifici che sorgevano tutti a poca distanza dalla riva. E fu una fortuna che il nuovo Duomo, allora in costruzione, fosse stato prudentemente arretrato di una decina di metri rispetto all'antico. Quanto fosse basso l'argine prima di tali lavori lo documenta un episodio accaduto il 28 maggio 1755. Quel giorno, a conclusione di una solenne cerimonia, un sacerdote stando sulla porta dell'antico Duomo aveva potuto agevolmente dare la benedizione papale e concedere l'indulgenza plenaria ai fedeli che vedeva raccolti su numerose barche ferme in Adige o assiepati sull'arginello dell'altra riva (5). Un arginello per salire sul quale, dalla piazzetta della chiesa di San Giuseppe, ancora novant'anni dopo sarebbero bastati appena 13 scalini, mentre oggi ne occorrono una trentina.
Ma poi da noi, in secoli precedenti, l'Adige davvero era arginato? Ecco cosa scriveva nel 1550 Leandro Alberti, un attento viaggiatore che quasi certamente aveva risalito il fiume verso Verona. “Dentro adunque del Ladice mescolato con le dette paludi, stagni e laghi appare Torre nuova, fatta quivi per guardia acciocché non passino i contrabandi... Poscia evvi Capo di Bastiono, fabricato nel principio della edificatione di Venetia, ai confini di essa, per sicurezza di questo lato...” (6). Il passo era ripreso da un'opera del 1542 di Flavio Biondo: “...da una parte è una torre nuova posta qui per guardarvi i datj, da l'altra è Capo d'Argere, guardia medesimamente posta qui ne' confini del ducato di Vineggia, nel principio di questa repubblica” (7).
È significativo che l'Alberti non traduca il nome latino di Cavarzere nel modo tradizionale, dando cioè alla parola agger il significato di argine, bensì quello, altrettanto legittimo, di bastione, opera difensiva che implica la presenza di mura. Egli fa derivare il nome del paese non dalla sua posizione rispetto all'argine (che nel Cinquecento in territorio cavarzerano non esisteva ancora, per cui una simile interpretazione gli sarà sembrata, a ragione, priva di senso), ma dalla marcata e antica funzione militare, resa evidente dal castello.
È da notare che negli Statuti del 1401 la parola argine non compare mai, mentre invece in un capitolo si proibiva di depositare legna sulla riva del fiume. E presso la riva sorgeva il castello eretto intorno al 750 in una posizione strategica, in corrispondenza d'una punta di terreno che dalla sponda opposta riduceva la larghezza dell'alveo permettendo di controllare dagli spalti il passaggio di qualsiasi imbarcazione. Il vecchio campanile demolito a fine Ottocento era costruito proprio sulla base di una torre del castello ed oggi si troverebbe a un solo metro dal muraglione. Tanto il fortilizio quanto il borgo erano difesi alle spalle dalla Fossa del castello, che nello spazio di cinquecento metri usciva dall'Adige e vi rientrava senza difficoltà e senza bisogno di argini. I quali, se vi fossero stati, avrebbero costituito un gran vantaggio per un eventuale nemico, dandogli la possibilità di contrastare dall'alto, da una posizione più favorevole, i difensori del castello.
Anticamente non si erano dovuti temere danni dal fiume. Scendeva al mare fra i rialzi naturali delle sue rive, in un letto abbastanza profondo, senza pericolo che tracimasse quando le piene lo gonfiavano e il flusso vorticoso, correndo anche per la Fossa, sembrava mettere l'assedio da ogni lato. Lontano dal borgo, quei rialzi erano incisi da alcune canalette sbarrate da cavedoni che venivano aperti nei tempi stabiliti, secondo la convenienza e l'utilità, allo scopo di rinnovare l'acqua delle valli da pesca oltre la fascia di terreni alti.
I guai del fiume erano cominciati nella prima metà del '400, quando alla sua destra, poco a monte di Badia, si erano originate due rotte (Castagnaro e Malopera) le quali avevano iniziato a sottrargli gran parte dell'acqua, che finiva poi nel Canalbianco. Le rotte non furono chiuse e si trasformarono in canali diversivi. Un secolo più tardi quella del Castagnaro era ancora aperta e aveva una tale “chiamata” da ingoiare quasi l'80% delle acque dell'Adige durante le piene e oltre il 60% nei periodi di magra. La corrente che rimaneva al fiume giunta a Badia si ripartiva in due: una porzione scendeva lungo l'Adigetto alla volta di Rovigo, un'altra proseguiva per l'alveo più largo fino a Lezze, dove i due rami del fiume tornavano a congiungersi. Questo stato di cose modificò la capacità di portata dell'Adige, specie fra Badia e Lezze. Le torbide giungevano lì troppo infiacchite e scarse. Già dimezzate per la derivazione dell'Adigetto, rallentate dalle “roste” di numerosi mulini, impoverite cammin facendo da un diversivo minore che dava sulla Bassa Padovana, erano quasi fermate infine dalle volte che si susseguivano fra Pettorazza e Rottanova. In simili condizioni le piene (se tali potevano dirsi) anziché favorire l'equilibrio del fiume, tenendogli ampio e scavato il letto col peso e la velocità della corrente, finivano per costituire tanti episodi del suo progressivo degrado. Di stagione in stagione andavano infatti rialzando il fondo con i sedimenti che non avevano la forza di spingere al mare e ostruivano con cumuli di terriccio sabbioso un alveo eccessivo alla loro debole consistenza. Così, quando nel 1545, per favorire gli scoli della campagne attraversate dal Canalbianco, fu ristretta la bocca del Castagnaro ridonando una maggior quantità d'acqua all'Adige, questo era ormai inadatto a contenerla fra le sue rive. Il livello del fiume si portò stabilmente a una quota più alta respingendo indietro le acque dell'Adigetto, mentre continui straripamenti si verificavano già a ogni mezza piena. I primi a subirne le conseguenze furono i possidenti che proprio allora s'erano consorziati per bonificare i terreni compresi fra i due rami del fiume. Nel 1581 li troviamo impegnati ad arginare entrambe le rive dell'Adigetto e la riva destra dell'Adige da Lezze fino a Pettorazza, per unirsi all'antico argine del fiume che terminava in quel luogo (8).
E venne il tempo, col progredire delle operazioni di bonifica e arginatura nell'alto e medio Polesine, che anche da noi l'Adige cominciò a impensierire la gente. Intorno alla metà del '600 costituiva ormai una minaccia per l'abitato. Succedeva che le acque limacciose riuscissero talvolta a sormontare la riva allagando le calli ed entrando nei locali a pianterreno. Imbrattavano i muri di fanghiglia, li impregnavano di un'umidità che generava febbri. Non valse l'aver colmato i due capi della Fossa per impedire che il fiume vi s'introducesse ancora aggredendo il paese dalla parte più bassa. Per salvare i raccolti degli orti e dei pochi campi coltivabili i possidenti consorziati chiesero nel 1653 di poter circondare a proprie spese l'intero Retratto Corcognan Novissimo con un arginello che lungo l'Adige andava dalla Fossa Bellina a quella del Molinazzo (Ca' Briani). Ma appena sei anni dopo toccò al Comune provvedere alla difesa del paese facendo costruire lungo la riva destra del fiume, probabilmente sopra l'arginello del Retratto, “una piccola coronella alta un piede, larga due” (9). Fu il primo argine di Cavarzere, appena un po' più robusto di quello costruito a beneficio del Retratto, che nel 1710 tra Fossaviera e Ca' Briani superava di poco il metro d'altezza. Un nulla, se paragonato al gigantesco cordone arginale che oggi sovrasta laggiù i tetti delle case. Dopo Ca' Briani restava invece immutato lo scenario descritto dall'Alberti, col fiume che solo i rialzi sabbiosi formatisi a ridosso dei salici cresciuti lungo le rive tenevano separato dagli stagni e dalle paludi.
L'antico campanile eretto sulla base di una torre del castello. |
Gli argini sono un ingombrante “arredo” di cui un fiume, se ne ha avuto bisogno, non può più liberarsi: col passare del tempo esigono infatti di essere portati a una sempre maggiore altezza. Se dunque l'Adige da noi nel XVI secolo non era arginato, non poteva esserlo stato nemmeno mille anni prima, e così pure la Filistina della quale nel VI secolo aveva occupato l'alveo. Come si è detto, nel 1581 gli antichi argini (di sicuro molto bassi) si fermavano a Pettorazza; anche ammesso che fossero esistiti in epoca medievale, come avrebbero potuto rappresentare un elemento topografico tanto significativo da dare il nome a un villaggio posto sei chilometri più a valle?
Per il primo nome del paese, il latino Caput aggeris, occorre dunque cercare una diversa interpretazione. I romani attribuivano al vocabolo agger vari significati: poteva indicare un terrapieno difensivo, o il rialzo artificiale su cui correva una strada, o il colmo che teneva libera la strada dall'acqua piovana, o la strada stessa, o infine un argine. Ed è appunto quest'ultimo il solo significato che agger ha mantenuto mentre dal latino andava corrompendosi nel volgare veneto arzere. Scegliendo fra le numerose varianti con le quali il borgo viene citato negli scritti medievali troviamo la prova di questa progressiva mutazione: Caput aggeris, Caput argeris, Caput argere, Caput arzere, Capud arzere, Capo d'arzere. Per ultimo, nel XIII secolo, i documenti riportano Cavarzere (esso pure a volte latinizzato: castrum Cavarzeris, in fine Cavarzeris Venetorum, ad Cavarzerem), forse presente nell'uso parlato già da molto tempo. Lo fa supporre il nome col quale l'imperatore di Bisanzio Costantino Porfirogenito verso il 950 indicava il nostro villaggio. Tradotto dal greco, quel nome ha una chiara somiglianza con Cavarzere: Caverzentzes (Braustein), Caverzenzis (Moravcsik) (10). L'errata traduzione in Carbentzenza fatta dal Filiasi spinse il Bullo a ipotizzare un'origine etrusca del toponimo; da ciò è nata in seguito la fantasiosa asserzione che Cavarzere fu un avamposto fortificato etrusco e mutò nome sotto il dominio romano. (11)
Il manufatto di evidente impatto ambientale all'origine del nome latino se non poté esserlo un inesistente argine fluviale è logico vederlo in una strada di grande importanza e nel suo agger. E di strade che attraversavano il nostro territorio i romani nel 132 e nel 131 a.C. ne avevano costruite due: l'Annia e la Popillia. Uscivano entrambe da Adria, la prima diretta a Padova, la seconda ad Altino. Attraversavano terreni in condizioni discrete, anzi a volte migliori di quelli attuali che solo l'impiego delle idrovore permette di mantenere asciutti. La Popillia passava a cinquecento metri ad ovest di Ca' Labia, flettendo poi leggermente verso Monsole. Costruita su un tracciato rettilineo, larga fra i 14 e i 18 metri compresi i fossati laterali, è opinione degli studiosi che secondo l'uso corresse su un terrapieno, in certi tratti più rilevato al fine di superare qualche depressione mantenendo costante l'altimetria del piano stradale.
Un'ottantina d'anni dopo la costruzione delle strade erano iniziati i lavori per la centuriazione dell'agro adriese, che avevano interessato anche una parte dell'attuale territorio cavarzerano. Si trattava di un grande intervento pubblico teso al pieno recupero e allo sfruttamento agricolo di un ambiente scarsamente abitato, ancora poco coltivato, parzialmente boschivo, con estesi ma per lo più leggeri avvallamenti umidi. Le canalette scavate lungo i limiti delle singole centurie, e i fossi che all'interno di queste dividevano gli appezzamenti assegnati ai veterani dell'esercito divenuti coloni, dimostrano che c'era allora la possibilità – evidentemente garantita dal letto sufficientemente profondo dei fiumi, liberi ancora dall'ingombro degli argini – di far scolare le acque piovane per via naturale, anche se non dovunque. (12)
I fiumi, per quanto riguarda Cavarzere, si ritiene fossero allora due rami del Po. Il primo, la Filistina, scorreva fino a Lezze grosso modo per l'alveo occupato più tardi dal vecchio Adigetto, e da Lezze al mare proseguiva per l'alveo che ora (rettificato in più punti) è dell'Adige. La affiancava, tenendosi più all'interno verso Adria, un secondo ramo che fletteva poi a sud-est per l'alveo dell'attuale Tartaro, largo e profondo come lo vediamo a valle di Ca' Labia, ma ridotto oggi a semplice scolo con un velo d'acqua ferma e verdastra.
La popolazione di recente insediamento viveva sparsa nelle centurie, e nulla sappiamo degli abitanti originari. Ma leggiamo quanto scriveva il Bullo nel 1864: “Alla destra della strada che da Cavarzere va ad Adria presso il Tartaro evvi una località detta Prati dei casei. Tal nome le venne dall'aversi scoperti moltissimi casottini formati da quattro mattoni in piedi ed uno che li copriva con entro una boccettina di vetro... Appresso la stessa località e lungo il Tartaro fu scoperta una grande massa che sembrava di muratura, essa era costituita da un beton rossiccio lastricato di pietre cubiche. Altro rimasuglio di strada...”. (13)
Non dunque poche tombe di un nucleo famigliare signorile come quelle che saranno trovate nel 1904 alla Cuora, bensì un sepolcreto posto a est della Popillia, a un solo chilometro dall'odierno paese, il cui bel nome latino è già una garanzia per datarne la nascita in epoca romana. Quelle umili tombe “a cassetta” secondo l'uso dei paleoveneti, praticato anche dai romani, sono un indizio, se non una prova, che un villaggio di povera gente esisteva già nei dintorni, o andava formandosi, come sembra più probabile, in seguito al recente miglioramento del territorio, alle nuove opportunità d'un vivere più vario e intenso. Un piccolo centro situato presso un incrocio quanto mai favorevole per il commercio, dove la Popillia s'interrompeva davanti ai due fiumi, facendo capo prima di riprendere il suo cammino. Un villaggio che avrebbe potuto benissimo chiamarsi già allora, nel modo più generico, Caput aggeris perché vicinissimo alla strada aggerata, così come Conselve si era chiamata Caput silvae perché prossima a un bosco. Un abitato, per quanto modesto, si forma in genere dove una particolare situazione ambientale favorisce una vantaggiosa attività economica. Due condizioni entrambe assenti nell'ipotesi che vuole il paese sorto semplicemente al termine di un argine fluviale. Ed ancor più assenti nella bizzarra congettura per la quale il nome volgarizzato deriverebbe a Cavarzere dall'esser stato sede, nel medioevo, di un comando di cavarzarani ai quali, come oscuri pendolari dei secoli bui, era assegnata la sorveglianza di argini che da noi ancora non esistevano.
La Venere di Rottanova rinvenuta in un fondo presso il tracciato della via Annia. Bronzetto del I-II secolo d.C. (Museo Archeologico di Padova) |
Coppa biansata di Ennione (I secolo d.C.) rinvenuta in località Cuora nel 1904. (Corning Museum of Glass di New York) |
La via Popillia da Adria a Monsole è indicata dalla linea rossa tratteggiata. |
Certo, di quel nostro ipotizzato e tuttavia probabile villaggio finora non è stata trovata alcuna conferma. Una conferma mai cercata, a dire il vero, e che forse nel corso dei tanti lavori di sterro, anche recenti, col ritrovamento fortuito di antichi reperti era magari a portata di mano, ma non è stata perseguita per ignoranza, disinteresse o convenienza. Se ignoriamo dove Caput aggeris realmente sorgesse, conosciamo però le vicende che portarono alla scomparsa del mondo che lo circondava. Sopraggiunse col tempo una inarrestabile crisi politica, economica, militare che andava distruggendo la saldezza e l'organizzazione dell'impero. Nel continuo succedersi di guerre i barbari trovarono aperta la via dell'Italia, le loro scorrerie si moltiplicarono finché nel 476 l'Impero Romano d'Occidente cadde per opera di Odoacre. Da tutto questo il piccolo mondo agricolo della centuriazione uscì sconvolto. Si persero tranquillità, fiducia, speranza di difesa. Le strade, che avevano visto il rassicurante passaggio delle legioni, furono percorse da orde tese al saccheggio. Un governo privo di efficienza e la paura della gente portarono al degrado del territorio e all'abbandono delle campagne. Si trascurarono i lavori necessari per mantenere funzionante il complesso sistema di scolo. Negli avvallamenti interni ricomparvero le zone umide; le superfici boschive e incolte ripresero ad estendersi; specchi d'acqua stagnante si allargarono sui campi, intaccarono la trama delle centurie e le vie consolari, ora non solo insicure ma a tratti anche impercorribili.
Ai guasti causati dagli uomini la natura volle infine aggiungere i suoi. Nel 589, in seguito a un eccezionale ripetersi di precipitazioni piovose, l'Adige, rimasto fino ad allora lontano dal nostro territorio, abbandonò il suo vecchio corso e si riversò sulla pianura. Una stagione dopo l'altra, senza che si potesse o volesse imbrigliarlo in qualche modo, continuò a sommergere i campi, a ostacolare altri corsi fluviali. Con i detriti sabbiosi colmò fossi e canali, in altri s'incuneò scavando e allargando, finché si ridusse in un nuovo alveo, rubando quello della Filistina nel tratto che da Lezze giungeva al mare. Si trovò così a fluire su un letto abbastanza profondo, ma fra estese zone paludose corrispondenti alle depressioni interne che negli ultimi secoli s'erano accentuate per il forte costipamento dei giovani terreni alluvionali.
I segni del pacifico e laborioso mondo agricolo del I secolo d.C. erano ormai completamente scomparsi insieme alle due strade romane, sebbene un rimasuglio della Popillia sembra che restasse ancora nel X secolo. Lo testimonia il toponimo Aggere de petra, citato nel Diploma dell'imperatore Ottone come uno dei confini del territorio di Cavarzere, e stabilito più tardi dai periti veneziani vicino a Monsole, proprio sul tracciato dell'antica via. Di Caput aggeris sopravvisse soltanto il nome. Il progressivo degrado del territorio spinse i suoi abitanti – come credo – a spostarsi sui terreni solidi del dosso fluviale della Filistina, i quali si mantenevano alti mentre i campi dell'interno andavano lentamente abbassandosi per trasformarsi in palude. Presso la riva del fiume, in una posizione defilata rispetto alla via romana, un nuovo umile villaggio dal nome antico avrebbe dato sicuro asilo a chi cercava salvezza dagli invasori Unni o Longobardi, apprestandosi ad entrare finalmente nella storia insieme a Venezia, della quale per almeno dodici secoli condividerà le sorti.
Carlo Baldi, 23 dicembre 2013
NOTE
1 - V. A. Formaleoni, Topografia veneta ovvero descrizione dello Stato Veneto secondo le più autentiche relazioni e descrizioni... Venezia,1787. Pag. 278.
Il testo relativo a Cavarzere era già compreso nel volume Descrizione topografica e storica del Dogado di Venezia, ecc. stampato a proprie spese dal Formaleoni nel 1777 a Venezia, presso G. Bassaglia.
Quello stesso anno il lavoro del Formaleoni risulta inserito, senza indicazione dell'autore, nell'opera di A.F. Busching Nuova Geografia, Venezia 1777. Tomo 22°, pag. 196
2 - C. Tentori, Saggio sulla storia civile, politica, ecclesiastica e sulla corografia e topografia degli Stati della Repubblica di Venezia. Venezia, 1789. Vol. XI. Pag. 91
3 - G. B. Rampoldi, Corografia dell'Italia. Milano, 1832. Vol. I, pag. 436
4 - C. Bullo, Cavarzere e il suo territorio. Chioggia, 1864. Pag. 9
5 - Annotazione dell'arciprete Giuseppe Mainardi nel libro delle cresime, post 1723, trascritta da mons. Giuseppe Scarpa. Archivio parrocchiale di Cavarzere
6 - L. Alberti, Descrittione di tutta Italia. Venezia, Edizione del 1596. Pag. 460
7 - F. Biondo, Roma ristaurata et Italia illustrata. Venezia, 1542. Pag. 184
8 - B. Zendrini, Memorie storiche dello stato antico e moderno delle lagune di Venezia... Padova, 1811. Vol. I, pag. 304
9 - A. Belloni, Memoria idrometrica sopra il fiume Arno. Venezia, 1778. Pag.22
10 - P. Braustein – R. Delort, Venezia, ritratto storico di una città. Venezia, 1981. Pag. 36
Moravcsik – Jenkins, De administrando imperio, di Costantino Porfirogenito. Washington, 2006. Pag. 119
11 - C. Bullo, cit. Pag. 11-12
12 - Dell'Adige arginato almeno fino a Tornova già in epoca romana discorre F. S. Munari in Cavarzere, memorie storiche. Pinerolo, 1970. Pag, 7-8
13 - C. Bullo, cit. Pag. 14
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