A convincere il Pontefice della necessità di recarsi nella capitale austriaca erano state le riforme avviate dall'imperatore Giuseppe II col fermo proposito di limitare l'autorità ecclesiastica. Nuove norme stabilivano tra l'altro l'obbligo di giuramento statale per i vescovi, modificavano l'ordinamento dei seminari, prevedevano la secolarizzazione degli ordini religiosi contemplativi, sottraevano alla chiesa la gestione della scuola elementare. Fortemente turbato Pio VI aveva infine deciso di parlare direttamente con Giuseppe II: sperava che un incontro con l'imperatore avrebbe portato a un ripensamento in favore della Chiesa. Si mise dunque in viaggio, lasciando Roma nel febbraio del 1782. Il 10 marzo, dopo che centocinquanta colpi di cannone ebbero salutato la sua partenza da Ferrara, giunse con largo seguito di prelati e dignitari a Pontelagoscuro, dove salì su un'imbarcazione “magnificamente addobbata dentro e vagamente dipinta fuori”.
Ma ecco il racconto del cronista: “Alle ore 14 si staccò il legno, e cominciò a scendere nel Po con viaggio accelerato dalla forza della corrente e d'una peota di rimorchio a 10 remi maneggiati dai più robusti marinai decentemente vestiti in divisa... Il popolo, che copriva la sponda del Po, accompagnò a tutto potere cogli occhi, coi voti e colle acclamazioni il Santo Padre, che corrispose colla sua benedizione.” (1)
Abbandonato il fiume a Cavanella Po, il corteo papale risalì il Canale di Loreo e sopra Tornova entrò nell'Adige, arrivando in breve a Cavanella. Qui attendevano Pio VI il vescovo e il podestà di Chioggia insieme a una gran folla, tra la quale vi era Francesco Patrian con molti villici accorsi da San Pietro. Sicuramente non mancava gente venuta da Cavarzere, spinta dalla fede e pure dalla curiosità, essendo il corteo composto dai tre bucintori, sette peote e tre barche che Venezia aveva mandato a Pontelagoscuro. (2) Il viaggio riprese lungo il Canal di Valle e a sera il papa giunse a Chioggia, dove fu accolto dai procuratori di San Marco Alvise Contarini e Ludovico Manin, e dove passò la notte. Per la piccola città lagunare si trattava di un avvenimento straordinario, la cui memoria venne subito affidata a ben tre lapidi con eloquenti epigrafi.
Pio VI incontra l'imperatore Giuseppe II. Incisione di G. Beis – A. Poggioli |
Anche per Francesco Patrian si era trattato di un giorno eccezionale, tanto che tornato a casa ne fissò questo ricordo sulla prima pagina di un importante documento di famiglia:
“Adì 10 marzo 1782
Sono partito il beatissimo pappa
dalla sua stanzia sono partito
per andare a vina sono passato
per la cavanela noi abiamo ricevesto
la sua santa benedicione datta
alla cavanella sono stasto a dormire
a chioza 11 Fran.co patrian”
(È partito il beatissimo Papa
dalla sua residenza. È partito
per andare a Vienna. È passato
per la Cavanella. Noi abbiamo ricevuto
la sua santa benedizione data
alla Cavanella. È stato a dormire
a Chioggia. 11 Francesco Patrian)
Il documento, un manoscritto del 1730 di una ventina di pagine, riguardava il feudo di alcuni campi a Concadirame, dei quali nel 1506 l'antica famiglia Patriani aveva ricevuto l'investitura, poi riconfermata dal doge Carlo Contarini nel 1655 e rinnovata infine nel 1730 dal doge Alvise Mocenigo, legando la concessione di quei campi a un giuramento di fedeltà.
“Io Alvise Patriani, come procuratore delli fedeli Domenico mio Padre, et Antonio mio zio paterno, giuro et affermo per li Santi Evangeli di Dio che saranno sempre fedeli a Vostra Serenità et al Serenissimo Dominio, né mai in consiglio, agiuto o fatto saranno contro l'onore e stato della Serenità Vostra, anzi intendendo che altri volessero esser contro di manifestarlo, opporsi et impedire di tutto loro potere... In occasione d'aperta guerra, senz'aspettar d'esser chiamati offeriranno prontamente... il debito servizio, et esseguito per l'onore e stato di Vostra Serenità e del Serenissimo Dominio con ogni ardor di spirito.” (3)
Investiture della Famiglia Patriani. Proprietà Mirto Patrian |
A Vienna l'imperatore accolse il Papa con tutti gli onori, ma non cedette alle sue richieste. Il “pellegrino apostolico” ripartì dunque alla volta di Roma deluso per l'esito dell'incontro, ma gratificato oltre ogni dire dalle festose, spontanee dimostrazioni di fede e di attaccamento che puntualmente – com'era già avvenuto nell'andata – lo attendevano in ogni città, e specialmente nei paesi e villaggi attraversati, nei quali meglio si avvertiva l'eccezionalità di quel passaggio, spesso ricordato da lapidi ed iscrizioni. Venendo da Padova e diretto a Ferrara Pio VI giunse il 20 maggio ad Anguillara, dove impartì la benedizione a una gran folla e passò l'Adige su una grossa barca convenientemente decorata. (4)
Fu allora che un sacerdote di Cavarzere gli offrì in dono un modello di tabernacolo oggi conservato nello Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum di New York. Un'opera bellissima, che reca sui gradini la seguente scritta in latino:
A. P. R. M.
HOC OPUS A DNO JHO. BAPTA. RASIO CAPITIS AGGERIS SACERD.
IMPROBO TRIENII AXACTUM LABORE
PIO VI PONT. MAX. E GERMANIA REDUCI
DUM ANGULARIAE PER CIMBAM TRANS ATHESIM VEHERETUR
FUIT OBLATUM
TANTAQ. SS. PATRIS ANIMUM ADMIRE. PERCULIT
UT IPSUM TER BENEDICENS AUCTOREM SUUM
QUOQ. SPIRITUALIBUS CUMULAVIT DONIS
XIII KAL. JUl. A. P. C. N. MDCCLXXXII
A PERENNE RICORDO
QUESTA OPERA DA DON GIOVANNI BATTISTA RASI SACERDOTE DI CAVARZERE
COMPIUTA IN TRE ANNI DI DURO LAVORO
AL PONTEFICE PIO VI DI RITORNO DALLA GERMANIA
MENTRE IN BARCA ATTRAVERSAVA L'ADIGE AD ANGUILLARA
FU DONATA
E DI TANTA AMMIRAZIONE RIEMPI' L'ANIMO DEL SANTO PADRE
CHE EGLI BENEDICENDO TRE VOLTE IL SUO AUTORE
LO COLMO' PURE DI SPIRITUALI DONI
19 GIUGNO 1782
Forse perché non chiaramente leggibile, la data dell'epigrafe, quale è riportata nel sito del museo, non corrisponde alla realtà dei fatti, dovendo invece essere Kal. XIII Iun. (20 maggio).
Modello di tabernacolo di don Giovanni Battista Rasi. Cooper Hewitt. Smithsonian Design Museum |
Il modello è in avorio intagliato o tornito, in parte usato come impiallacciatura su una struttura di legno che ne risulta ovunque coperta. Alto 68,6 centimetri, raffigura un edificio di indubbia eleganza e di raffinata esecuzione nei particolari, anche nel portico col pavimento decorato e le facce interne occupate dalla porta e da sette nicchie fornite di cornici. Gli esperti del museo ritengono che l'opera riproduca un battistero o una chiesa visitati di persona da don Rasi, oppure da lui ammirati in qualche stampa. (5)
Penso invece che si tratti di un progetto originale per un grande tabernacolo architettonico come se ne vedono nelle chiese italiane, talvolta ricchi di decorazioni e ornamenti, altre volte ammirevoli nella loro semplicità, ad esempio quello scolpito in alabastro conservato nella chiesa di Fara Sabina. A don Rasi non mancavano comunque esempi vicini: i tabernacoli del Santissimo Sacramento nella chiesa di San Martino a Sottomarina e nella cattedrale di Chioggia, o quello dell'altare maggiore nel duomo di Loreo.
Tabernacolo di alabastro nella chiesa di Sant'Antonio a Fara Sabina. Scuola di Jacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573) |
L'altare maggiore del duomo di Loreo |
La chiesa del Santissimo Nome di Maria a Roma |
La cupola della Basilica di San Pietro |
Giovanni Battista Rasi, figlio di Mattia e di Lucrezia Lazzarini, nato a Cavarzere il 10 febbraio 1744, fu ordinato sacerdote il 14 marzo 1767 dal vescovo di Chioggia Giovanni Agostino Gradenigo. (6) Nient'altro sappiamo di lui, se non che insieme a precise cognizioni di architettura possedeva una rara abilità manuale, basti osservare la perfezione dei capitelli corinzi o le cornici degli oculi superiori della cupola. È da notare che il tabernacolo gli richiese tre anni di lavoro, non fu quindi costruito col proposito di donarlo al Papa, il quale decise di recarsi a Vienna solo nel 1782. E non poteva essere destinato neppure all'altare di qualche oratorio, perché dalla porticina di metallo dorato non si sarebbe potuto introdurre neppure una piccola teca.
E allora? Dobbiamo supporre che in quei tre anni passati a intagliare, a tornire e ad assemblare decine e decine di pezzi d'avorio don Rasi pensasse in realtà a un tabernacolo da costruire nel maestoso duomo di San Mauro ormai quasi terminato nella sua struttura muraria? Il modello dunque di un grande tabernacolo in marmo per l'altare maggiore, dove avrebbe degnamente figurato sotto l'alta cupola del presbiterio e nella vastità del tempio eretto a imitazione della chiesa veneziana dei Gesuati progettata dal Massari.
O si trattò semplicemente del frutto di un hobby del sacerdote, di una sua passione di modellista trovatosi a disporre di un materiate nobile come l'avorio? Un'opera di cui andava orgoglioso e volle donare a Pio VI in occasione del secondo passaggio nelle vicinanze del paese, quel 20 maggio del 1782? Ma la scritta che più tardi qualcuno ebbe cura di apporre sui gradini del modello non esclude che esso, pur consegnato personalmente da don Rasi, rappresentasse anche un omaggio del clero e della comunità di Cavarzere al Papa pellegrino.
Carlo Baldi, 3 dicembre 2016
Una seconda immagine del modello di Don Rasi |
NOTE
1 - G. Ferrari, Vita e fasti del Sommo Pontefice Romano Pio VI. Milano, 1800. Vol. V, pagg. 75, 113.
2 - G. Moroni Romano, Dizionario di erudizione storico-ecclesiatica. Venezia 1842. Vol. XIII, pag. 101.
3 - “Investitura dell'antica famiglia Patriani del 24 novembre 1506, confermata il 26 giugno 1655 dal doge Carlo Contarini e infine il 22 settembre 1730 dal doge Alvise Mocenigo”
4 - “Delle iscrizioni veneziane raccolte e illustrate da Emanuele Cicogna”. Venezia, 1834. Vol. IV, pag. 559. (Iscrizione dipinta sulla facciata della canonica di Anguillara)
5 - Cooper Hewitt. Smithsonian Design Museum. Sarah D. Coffin: Architectural Model of a Baptistery or Church, 1782. Gift of Eugene V. and Clare E. Thaw, 2013-3-2
6 - Archivio Diocesano Chioggia. Vol. 316 Gradenigo. Ordinazioni... (1763-1769); c. 12, 13, 35, 64, 88, 109.